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Negli anni in cui frequentavo le scuole elementari, ero senza dubbi uno dei più piccoli della classe e fu la stessa cosa anche alle medie, alle superiori e all’università! Non era però una grande novità per i miei genitori, visto che nessuno della mia parentela era mai riuscito a superare il metro e sessanta.
Erano i tempi in cui arrivavano i primi emigrati dal sud Italia per lavorare alla FIAT e nel suo indotto; nella piccola cittadina dove abitavo c’era la fabbrica che costruiva i treni e quindi migliaia di quelli che noi chiamavamo “i meridionali” arrivarono in pochi mesi e invasero interi quartieri.
Molti si dimostrarono subito ottimi lavoratori e gente per bene, altri un po’ meno, fatto sta che noi “ragazzi di campagna” non avevamo molto entusiasmo di dividere la nostra quotidianità con i figli di chi era appena arrivato: facevamo di tutto per escluderli e spesso scoppiavano le risse. Si formarono presto delle bande rivali di ragazzi, i quali non perdevano mai un’occasione per suonarsele di santa ragione.
Avevo dodici anni quando un giorno arrivai da scuola coi vestiti strappati, lividi e varie escoriazioni, tante erano le botte che avevo preso: ero figlio unico, piccolo di statura e non avevo mai fratelli più grandi che potessero “vendicarmi”, come invece accadeva spesso per altri compagni. I miei genitori, presi dal timore che la cosa potesse degenerare, considerato anche che gli episodi si stavano ripetendo sempre più spesso, iniziarono a discutere sul da farsi: andare a scuola per riferire il tutto al direttore, oppure provare a lamentarsi coi genitori di chi mi aveva conciato in quel modo. Io ero il più piccolo della “banda” ma, in compenso, non mi passava manco per la testa di sottomettermi a questi ultimi arrivati, al contrario di altri compagni molto più alti di me.
Ricordo ancora come fosse adesso che, mia nonna paterna nata negli ultimi anni dell’ Ottocento da una famiglia di pastori (dove fece anche lei la pecoraia per molti anni), poco più alta di un metro e cinquanta, con orgoglio montanaro esclamò ad alta voce: “Non dovete andare a lamentarvi da nessuno! E’ lui che deve imparare a difendersi anche se è più piccolo, ha solo da mettersi una pietra in tasca e picchiare con quella ben stretta nella mano!”.
Ovviamente i miei genitori inveirono subito contro di lei: “Ma tu sei matta, cosa gli stai insegnando!”. Mia nonna alzò le spalle, fece una smorfia di scherno contro quella loro eccessiva prudenza e disse: “Allora fate come volete, ma se non impara a difendersi adesso, non imparerà mai più! La vita è dura! Comunque è vostro figlio, quindi arrangiatevi!”.
Lei era nata in montagna e sopravvissuta a due guerre, perso fratelli in battaglia, due figli per malattia e suo marito l’aveva lasciata sola per anni senza un soldo costretto ad andare sul fronte di guerra. Per mia nonna la vita non era stata facile e non conosceva timore per nessuno. Anche da anziana, dopo poche parole di discussione, usava il bastone contro chiunque per spiegarsi meglio (lo ricordo ancora bene): ovviamente erano altri tempi!
Quando a quindici anni mi iscrissi a uno dei primi corsi di Karate organizzati in provincia (contro la volontà dei miei genitori e dopo aver assistito per un anno intero a tutte le lezioni, spiando dalla finestra di uno scantinato), non lo feci per imparare a difendermi, bensì, avendo visto tutti i film di Bruce Lee che arrivavano dalla Cina, volevo imparare a picchiare i più grandi di me. Fu poi il mio maestro che nel tempo mi fece capire la parte più nobile di quest’arte marziale, una raffinata filosofia che segnò in seguito molte decisioni della mia vita.
A quei tempi, in palestra non si scherzava, gli insegnanti erano molto severi, alcuni maestri giapponesi venuti in Italia derivavano da antiche famiglie di samurai, altri avevano genitori e fratelli che erano stati dei Kamikaze nella seconda guerra mondiale. Chi sbagliava, pagava! Non era sicuramente il karate di oggi dove, frequentando per un po’ di anni una palestra, la cintura nera è praticamente assicurata. Ogni anno, s’iscrivevano in molti ai corsi, ma solo pochi continuavano: erano quelli che innanzitutto accettavano di prendersi tante botte dai più forti! Il karate di allora insegnava ai giovani a soffrire in silenzio, cosa che oggi penso non sarebbe più proponibile a nessuno!
In vari anni di pratica conobbi molti maestri giapponesi ma nessuno riuscì mai ad affascinarmi come il “piccolo Grande” Maestro Miura Masaru, nato nel 1939 e tutt’oggi insegnante di karate tradizionale alla veneranda età di 76 anni!
Si trattava di un "ometto" non più alto di un metro e cinquanta ma dal carisma indescrivibile e dotato di una potenza che, solo dopo avergli combattuto contro, si poteva capire e ricordare per sempre quanto era duro.
Ricordo quando nel suo italiano molto approssimativo spiegava: “Non importa quanto si è alti o grossi, conta quanto si è duri!”. Spesso si rivolgeva agli atleti domandando: “Fa più male ricevere sul viso un piccola pietra lanciata con velocità o un grande sacco di gommapiuma?!”. Poi aggiungeva: “Nel combattimento reale non è mai il peso e la grandezza dell’avversario che conta, bensì la tecnica e la velocità! Basta un dito in un occhio per fermare un gigante, bisogna però avere il coraggio e l’abilità di infilarglielo!”.
Nei tornei di karate tradizionale si combatteva senza esclusione di altezza e di peso, si colpiva con calci e pugni ovunque, senza protezioni e con la sola penalizzazione di perdere l’incontro se si affondava troppo sul viso dell’avversario, ma erano sempre loro, i giapponesi, a decidere sui regolamenti arbitrali, tant’è che i miei denti anteriori dell’arcata superiore se ne andarono quando avevo poco più di vent’anni.
DARKO nacque da una coppia di cani che avevo ceduto a un frate eremita che viveva sul versante ligure delle Alpi Marittime. Diceva di non sentirsi tranquillo di notte per la paura che tornassero alcuni ignoti che avevano già saccheggiato più volte la sua roulotte, unica abitazione dove trascorreva sia l’estate che l’inverno.
Il padre di DARKO (in foto sopra) era uno dei figli di due cani che avevo mandato da cuccioli in Inghilterra alcuni anni prima, mentre la madre (in foto sotto) una femmina molto tipica e di forte carattere, anch'essa nata da soggetti del mio allevamento.
Quando i genitori di DARKO si accoppiarono erano ancora molto giovani, poco più che cuccioloni, ma il tutto era stato inevitabile poiché il frate eremita non disponeva di un luogo dove separare la femmina dal maschio, inoltre, la coppia trascorreva quasi tutte le notti a correre nei boschi di quella montagna dove spesso si cacciava parte del cibo. DARKO e i suoi fratelli nacquero nel mese di Gennaio nella roulotte del frate e già dopo pochi giorni dovettero cavarsela alle intemperie, fra la neve e il ghiaccio di un inverno particolarmente rigido, fin quando ai primi di marzo arrivarono da me.
Non mi ci volle molto tempo per capire che DARKO e uno dei suoi fratelli sarebbero diventati ottimi cani da guardia, mentre gli altri due si dimostravano già allora più indicati come cani da pecore, specialmente TUAREG che, completamente indifferente alle persone estranee, provava a dominare altri soggetti ben più grandi e vecchi di lui.
Cedetti DARKO quando aveva poco più di 2 mesi a una coppia di giovani sposi che, pur essendosi appena trasferiti nella loro casa di campagna, erano già stati visitati dai ladri (entrati a rubare nell’abitazione nonostante i proprietari fossero presenti). Fu un inizio pieno di grande entusiasmo, viste le promettenti doti del cucciolo, i proprietari frequentarono il mio corso ma poi non diedero sempre retta alle mie raccomandazioni. A volte si divertivano con DARKO facendogli mordere la manica di un giaccone vecchio che indossavano per l’occasione, gli lasciavano facile accesso alla camera dov’era conservato il suo cibo e tante altre piccole trasgressioni. All’occhio di un profano, certi dettagli possono sembrare irrilevanti, mentre costituiscono la base fondamentale per allevare con successo un cane da guardia con la “C” maiuscola come stava diventando il “piccolo” DARKO.
Non capitò nulla di grave ma, giunto alle soglie dei 2 anni, DARKO iniziò a dimostrarsi poco disponibile a lasciarsi gestire dai suoi padroni, tant'è che decisi di sostituirglielo con un altro cucciolo, sperando che, ripartendo da capo, questa volta non avrebbero più commesso gli stessi errori (cosa che credo stia avvenendo).
Una delle credenze più diffuse fra i profani, anche perché alimentata dalla cinofilia di basso livello, è quella che più si adotta giovane il cucciolo e più si eviteranno rogne in futuro con la gestione del cane adulto (…convinti di questo, alcuni lo vorrebbero addirittura di pochi giorni!).
Nella realtà è vero invece l’esatto contrario: più il cucciolo matura in allevamento, senza cattive abitudini (diffuse invece in molte famiglie) e impara a rispettare il suo datore di cibo, e più sarà facile da gestire da adulto per il suo futuro proprietario. Il fatto che il cucciolo preso da molto piccolo si affezioni di più al suo padrone di un altro adottato a vari mesi di età, è una semplice invenzione di chi vuole cedere presto la cucciolata, sia per evitare disagi di gestione che per mascherare eventuali difetti fisici e caratteriali.
DARKO, pur entrando in quella casa da molto piccolo, a due anni era diventato di difficile gestione per i suoi primi proprietari mentre, trasferito di proprietà, dopo solo pochi mesi aveva già instaurato un ottimo rapporto con l'attuale padrone, nonostante fosse una persona di carattere molto mite e non possedesse alcuna esperienza con cani di forte carattere.
L’applicazione di alcune regole base col cucciolo, è fondamentale per il buon rapporto futuro che si vuole instaurare col cane adulto, specialmente se si tratta di un soggetto col carattere di DARKO.
DARKO è poco più alto di 65cm al garrese, ma è un autentico duro!
Il suo temperamento caratteriale e la sua velocità d’azione non sono nemmeno paragonabili a quelle di molti soggetti della sua stessa razza che pesano il doppio di lui e lo superano in altezza di molti centimetri.
La stessa cosa valse anche per il fratello TUAREG quando lo diedi in Abruzzo a un pastore che voleva inserirlo nel suo branco di cani a difesa del gregge.
Come fu scaricato dall’auto giunta nei pressi in cui le pecore stavano pascolando, non furono i cani del pastore ad aggredire il nuovo arrivato, bensì TUAREG che attaccò il branco di cani tutti insieme.
In questi soggetti esiste ancora gran parte di quello che era un tempo l’autentico carattere dei cani da pastore dell’Asia centrale, prima che i russi decidessero di imbastardirlo con vari molossi europei per creare quei vitelloni che ormai si vedono ovunque.
Per capire come sia la personalità di DARKO basta guardarlo negli occhi! Ha lo sguardo di un Samurai! La sua struttura è simile a quella di un predatore: bassa e lunga, due doti molto importanti per agire con più efficacia in ogni tipo di attacco e di difesa! Infatti DARKO è dotato di uno scatto fulmineo simile a quello di un felino.
Oggi DARKO vive in un’area recintata di oltre 4000 mq., dove Mauro ha alcune serre per coltivare i piccoli frutti di bosco. Si tratta di una zona un po’ isolata e senza custode: fino a un anno fa, il proprietario subiva spesso furti e atti vandalici di ogni genere, oggi la situazione è invece cambiata di molto!
Solo a guardarlo mentre difende la sua proprietà, DARKO mette inquietudine a chiunque si avvicini alla recinzione, compreso a me che ho già visto centinaia di questi cani da lavoro.
La cinofilia di oggi è molto concentrata sull’aspetto fisico del cane da guardia, sono ancora tanti a pensare che per disporre di un buon guardiano si debba cercare un cane gigante, tant’è che la maggior parte degli allevatori si concentra su questi parametri di valutazione, poichè i più commerciali. Alcune razze conosciute come cani da pastore sono diventate attualmente famose in tutto il mondo solo per le grandi dimensioni dei soggetti, mentre all’atto pratico non è mai esistito un pastore che abbia utilizzato simili cani per proteggere il bestiame dai predatori! I vari pastori dell’Asia centrale, del Caucaso, dell’Anatolia (o Kangal), dei Pirenei, etc. che si incontrano tutt'oggi nei pascoli originari non sono grandi la metà di quelli che oggi vengono proposti sui siti internet dagli appassionati delle razze, eppure sono proprio LORO ad aver sempre difeso il bestiame.
Ciò che conta innanzitutto in un cane da guardia, oltre all'affidabilità che deve dimostrare nei confronti dei proprietari, sono il coraggio e la determinazione con cui opporsi a chiunque voglia entrare nel territorio in cui risiede, intende sopravvivere e riprodursi. Queste sono le doti naturali che deve possedere un buon guardiano per tenere fuori i ladri, tutto il resto conta poco!
DARKO è appena diventato padre di alcuni cuccioli nati da una madre di altrettanto carattere, ....staremo a vedere cosa salta fuori!
Cliccare QUI per vedere il Filmato di DARKO.
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