IL CANE PASTORE TURKMENO
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05/01/2011 - I miei viaggi in Asia centrale sulla rivista cinofila ARGOS



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Se acquistate il numero di Gennaio 2011 della rivista cinofila ARGOS troverete da pag. 72 a pag. 75 un interessante servizio che il giornalista Federico Goglio ha redatto su i miei viaggi in Asia Centrale.

Sono molto felice di questo evento in quanto non solo si tratta di un bel servizio spontaneo che  la redazione del giornale ha pubblicato per gratificarmi ma ho riscontrato molto interesse della redazione su questi autentici cani che vivono ancora in quelle terre sconosciute.

 

C’è ormai molta voglia da parte di alcuni operatori del settore di “sognare” il cane di un tempo!

E’ ovvio che se gli sponsor delle riviste sono le aziende che producono crocchette, chi si inventa ogni tipo di attrezzatura per soddisfare la fantacinofilia moderna, gli allevatori che orientati solo più su soggetti per le esposizioni, etc., i giornali debbano esaltare questa realtà.

Come farebbero a sopravvivere le ormai migliaia di cliniche veterinarie nate negli ultimi anni in Italia se non si inducesse i proprietari ad un’ansia esasperata sulla futura salute del loro cane: quindi si scrive sempre più spesso su nuove intolleranze, allergie, sindromi, etc.. perché oggi questo è il mercato. Immaginate se tutti i cani stessero sempre bene come una tempo senza troppe esigenze, quanti altri disoccupati ci sarebbero in ogni regione!

 

Ma voi non potete immaginare con quanto entusiasmo il giornalista di Argos mi ha intervistato su questi cani rustici.

Anche le fotografie che ha scelto la redazione sono la lampante testimonianza di quanto ho appena scritto, le hanno scelte loro fra circa un centinaio che gli ho inviato. Avrebbero potuto preferirne altre di cani molto più eleganti ma invece hanno scelto le più vere, quelle che rispecchiano realmente ciò che è ancora la situazione dell’Asia centrale al di fuori delle capitali (in città si trovano ormai anche laggù  i soliti Asia centrale da esposizione grossi quanto un vitello e confidenti con chiunque). La rivista ha pubblicato immagini di cani che vivono all’aperto tutto l’anno e che si occupano della guardia della casa, come avveniva ancora fino a poco tempo fa anche nelle nostre campagne italiane (adesso anche lì è difficile trovare un VERO cane di carattere). Voi non sapete quanti pastori da tutt’Italia mi chiamano confessandomi che non hanno più i cani di una volta in quanto avendoli sostituiti con quelli prodotti oggi in allevamento, non sanno più che farne per il loro lavoro.

 

L’immagine riprodotta a pag. 72 è quella di un anziano, ex-pastore nomade Tagiko, vicino ad un suo “Chuponi” (che nella lingua locale significa “pastore”, il nome esatto sarebbe “Sage-Chuponi” ovvero “cane da pastore” ma i Tagiki li chiamano semplicemente “Chuponi”). Notate il suo ricovero: un semplice telaio di legno ricoperto da una pelle di animale, come pavimento la “miracolosa” terra naturale dove i cani si scavano una buca della forma e dimensioni che gradiscono e lì riposano serenamente. Il cane è un ottimo soggetto locale, molto simile per colore a quelli dell’adiacente Afganistan, incredibile guardiano.

 

Le immagini riprodotte a pag. 73 sono del sottoscritto con due cuccioli di cane aborigeno di una famiglia di pastori nomadi fra i pascoli del Tajikistan, nella seconda in Turkmenistan con un cane di taglia “over” assolutamente innocuo e nullo come guardiano (notate la luce accesa: era sera ma al contrario di cosa sostengono alcuni allevatori, ovvero che di notte, i “buoni di giorno”, si trasformano in “orchi cattivi”, quello dormiva in piedi come sempre. Il proprietario era un medico di Ashgabat, cultore della storia sull’Alabai turkmeno, esperto di morfologia, sedicente conoscitore di cani da pastore del deserto del larakum ma che in casa aveva una decina di soggetti che tutt’insieme non valevano una zampa del mio Skorpion. Anche questo può accadere in Turkmenistan in quanto “ogni mondo è paese”).

Nella terza fotografia sono seduto con la famiglia di Mansour, un ex pastore, oggi mediatore di terreni dove i pastori nomadi portano i loro greggi a pascolare ogni primavera.

 

A pag. 74 un ottimo maschio, molto simile al mio Taleban, (fotografato in Turkmenistan) lasciato nel deserto a custodire una mandria di cammelli. In basso un bel maschio aborigeno, incontrato in Uzbekistan presso una famiglia di anziani pastori. Nella fotografia centrale, un un pastore Tagiko con la sua coppia di cani: due incredibili guardiani anche in presenza del suo padrone (…ci volevano letteralmente mangiare e mi hanno ricordato chi in Italia continua a sostenere che i veri cani da pastore dell’Asia centrale, quando è presente il padrone, sono indifferenti all’estraneo: lì mi trovavo nel cuore dell’Asia centrale!!!). Notate la cuccia costruita con un tetto di legno ricoperto da uno strato di terra, ottimo isolante contro il sole cocente.

 

A pag. 75 una fotografia di alcuni pastori Tajiki con i loro cani, ricordo che in quella postazione non c’era riparo per i cani e quindi si erano scavati profonde buche nel terreno dove si rifugiavano da ogni intemperie. Quella è stata una delle visite più affascinanti dei miei viaggi in Asia centrale, dove i cani si cibavano principalmente solo di piccoli roditori e di tartarughe che erano ovunque numerosissime. I pastori ci mostrarono un’iguana che i loro cani avevano ucciso il giorno prima intanto che succhiava il latte di una pecora. Il pranzo consumato in quella capanna ci costò un forte mal di pancia duratoci per alcuni giorni.

 

Nello stesso numero della rivista, a pag. 28, troverete anche un articolo che vi ricondurrà violentemente in cos’è oggi la cinofilia moderna, è intitolato: “Neve in città, un RISCHIO più che un gioco”.

Non è sicuramente colpa del giornale se il povero cane, trasferendosi in città, è caduto cos’ì in basso, né tantomeno di quel veterinario che si attiene semplicemente ad indicarne i vari rimedi ma leggendo quelle quattro pagine, credetemi, mi è venuto il magone.

Meno male che qui al Turkmeno, quando nevica, i cani stanno tutti benone, dormono fuori la notte a meno 10 °C, preferiscono quasi dissetarsi masticando i candelotti di ghiaccio e non hanno mai conosciuto un raffreddore né altri problemi citati in quel servizio!

 

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