IL CANE PASTORE TURKMENO
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19/11/2014 - Il mio viaggio in ANATOLIA Turchia - SIVAS KANGAL -



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IN QUESTO ALLEVAMENTO

NON SI VENDONO CUCCIOLI DI KANGAL

anche perché il Kangal o Pastore dell’Anatolia

è una razza che deriva dall'antico Pastore dell’Asia centrale

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Per uno come me, ormai abituato a organizzare viaggi in Asia centrale senza il minimo aiuto, scendendo ogni volta dall’aereo e improvvisando tutto fino a raggiungere i lontani cani aborigeni che lavorano nei deserti o nelle montagne più nascoste del continente, questo mio viaggio in Anatolia può essere considerato poco più di una piacevole vacanza.

 

 

Il mio amico turco Mr. Ergun Binbay, oggi noto imprenditore in Inghilterra, anche Vicepresidente della IFGD – International Federation Guard Dogs (Federazione Internazionale Cani da Guardia con sede a Londra), mi ha offerto un grande aiuto a ogni mia esigenza.

 

 

Mr. Ergun, non solo mi ha messo a disposizione due dei suoi più stretti collaboratori che, dopo essere venuti a ricevermi all’aeroporto di Istanbul alla guida di un elegante quanto potente fuoristrada, si sono resi disponibili per circa una settimana a percorrere i percorsi più sconnessi pur di raggiungere le greggi nei pascoli di gran parte della Turchia, ma tramite alcune sue conoscenze nell’ambito governativo turco, mi ha garantito il privilegio di ottimizzare il tempo di ogni mia ricerca sui cani da pastore locali, tutt’ora utilizzati per proteggere il bestiame dai frequenti attacchi dei predatori.

 

 

Chiunque parli oggi del cane da pastore dell’Anatolia, conosciuto anche come Kangal, si riferisce ad un animale diventato ormai famoso nella cinofilia ordinaria per le sue enormi dimensioni: è molto frequente vederlo fotografato in piedi vicino al suo padrone per evidenziare le sue gigantesche dimensioni.

 

 

In realtà, il cane da pastore dell’Anatolia, quello vero e molto lontano dalle solite leggende tramandate di osteria in osteria, o ultimamente da forum in forum, è un apprezzabile animale, di fattezze non superiori a qualsiasi altro cane da protezione del bestiame, ma molto utile ai pastori turchi che conducono le greggi a pascolare, per gran parte dell’anno, sugli altopiani anatolici.

 

 

A dire il vero, anche in questo stato, molti pastori si avvalgono di semplici incroci fra soggetti che vivono con le greggi e altri randagi di passaggio, ma le tipologie più conosciute sono: l’Akbash dotato di un mantello completamente bianco (foto sotto),

 

 

il Karabash di varie tonalità di nocciola/beige-bianco e sempre con il muso sfumato di nero (anche chiamato Kangal, specialmente se originario dell’omonima cittadina che si trova nella regione del Sivas),

 

 

il Malakli simile al Kangal o con altre colorazioni e pezzature, compresa la tigratura, contraddistinto però da una stazza molto più robusta, zampe massicce, testa possente e da una linea dorsale inclinata verso il basso

 

 

e una quarta tipologia chiamata Kars, molto più simile ad un pastore del Caucaso.

 

 

Il mio viaggio non ha ovviamente avuto lo scopo di prendere contatti commerciali con i tanti allevatori di questa razza presenti in tutta la Turchia che, vendendo i loro cuccioli in ogni parte del mondo, hanno ormai trovato un buon sistema per sbarcare il lunario.

 

 

Ho incontrato molti allevamenti lungo la strada segnalati da evidenti cartelloni e ne ho anche visitati alcuni personalmente ma, le qualità fisiche e caratteriali di quei poveri “bestioni”, spesso più alti di 90 cm al garrese e pesanti quasi 100 Kg., tenuti in gabbie o legati alle catene, non si sono mai manifestate molto entusiasmanti. Alcuni di loro soffrivano di evidenti patologie strutturali o di gravi difficoltà di deambulazione specialmente se già più anziani,

 

 

così come mostravano quasi totale assenza di carattere nei confronti di noi estranei che invadevamo il loro territorio, anzi, la maggior parte ci veniva incontro scodinzolando: sembrava che quei cani ci chiedessero di essere portati via da quei luoghi. VEDI IL FILMATO

 

Ho invece disturbato Mr. Ergun Binbay per un altro motivo, ovvero quello di scoprire e studiare meglio qual’è ancora il mondo dell’autentico TÜRK ÇOBAN KÖPEĞI, oggi conosciuto da tutti con il nome di pastore dell’Anatolia o Kangal: il mitico cane da pastore turco che lavora da secoli al fianco dell’uomo per proteggere i suoi animali.

 

Indipendentemente dalla tipologia e rispettivo colore, i soggetti dei pastori che ho incontrato con le greggi sui pascoli anatolici mi sono piaciuti molto: emanavano un incredibile carisma che si percepiva già a distanza.

 

 

Era meraviglioso vederli muoversi nel loro ambiente con quell’indistinguibile calma flemmatica del vero cane da pastore, fieri del loro lavoro, apparentemente distratti ma sempre molto attenti a ogni cosa che si muoveva nei dintorni del gregge. Nessuno di loro si è mai dimostrato particolarmente aggressivo contro noi uomini, nonostante non ci conoscessero, ma tutto questo è normale: tranne in rari casi, i cani da pastore non provano mai troppo rancore nei confronti dell’essere umano che si avvicina al loro gregge. Alcuni si limitavano ad abbaiare al nostro arrivo ma nulla più, dimostrandosi comunque sempre abbastanza diffidenti e reticenti nel lasciarsi avvicinare troppo. Sono bastati gli sguardi di alcuni soggetti per indurci a stare alla larga, così come non tutti accettavano benevolmente di essere fotografati: ad ogni loro ringhio, io abbassavo la mia macchina fotografica e mi giravo di spalle.

 

Per chi la sa cogliere, vedere i cani da pastore lavorare nel loro ambiente naturale è un’emozione molto forte, quasi indescrivibile, ed è proprio in quelle occasioni che si percepisce quanto sia meravigliosa la Natura nonostante oggi l’uomo si dimostri sempre più indifferente.

Mi sembra quasi impossibile che razze così pregiate come il pastore dell’Anatolia, il pastore dell’Asia centrale, il pastore del Caucaso e altri guardiani di greggi, veri capolavori genetici, vengano oggi distrutte dall’uomo che ne alleva soggetti dalle dimensioni assurde semplicemente per soddisfare un mercato fatto da chi, non avendone più la necessità pratica, apprezza solo più il loro peso e la loro altezza. E’ incredibile costatare come la distorta pubblicità che si trova sui media sia riuscita ad appassionare molti cinofili di ultima generazione, trasformando quella che è una vera e propria disgrazia dell’animale nel possedere dimensioni fuori del normale, in un raro pregio da vendere a caro prezzo.

 

 

Come avviene nell’essere umano, anche gli animali penano molto per essere più alti e pesanti del lupo - il loro antenato - sono impacciati nei movimenti, soffrono di gravi patologie, si sentono inappropriati, più vulnerabili, deboli, minorati sia fisicamente che psicologicamente.

 

 

In onore di una cinofilia corretta e razionale, vi prego di non credere mai a cosa trovate raccontato su internet da chi non sa più come mettersi in evidenza e le "spara" sempre più grosse, né tanto meno di quanto vedete di artefatto su You-Tube, quella è semplice propaganda! Nessuno di quei Kangal elefantiaci, alti in piedi più di un uomo, potrebbe durare un solo minuto contro un suo simile, molto più piccolo, ma cresciuto col gregge sugli altopiani anatolici!

 

La stessa cosa vale per quanto vi raccontano oggi sul moderno Mastino del Tibet (cane di genetica poco antica, bensì rifatto in allevamento per soddisfare la stessa tipologia di mercato) che, grande e grosso come una casa, viene presentato come il cane più forte del mondo (?!).

 

 

In Mongolia, questo povero e lento bestione, non ha nemmeno il coraggio di incrociare lo sguardo di un autentico Bankhar cresciuto nei pascoli montani o nell’arido deserto del Gobi. E io vi garantisco che laggiù, l’odio e la competizione fra i mongoli e i cinesi è ancora molto elevata, e gli scontri fra queste due tipologie di cani sarebbero all’ordine del giorno, se solo i Mastini del Tibet non si astenessero dal combattere per la paura.

 

 

Eppure gli autentici Bankhar non misurano mai più di 70 cm al garrese e pesano come un comune cane da pastore, ma non conoscono rivali grazie alla loro tenacia, resistenza allo sforzo fisico e mordacità contro gli avversari.

E’ ora che i cinofili capiscano che, fin quando si tratta di pettinare un cane e portarlo sui ring espositivi, qualsiasi soggetto, anche se dotato delle più "tragiche" enormi dimensioni, può prestarsi bene a qualsiasi leggenda, ma in Natura, conta invece solo la capacità di saper sopravvivere. Nei pascoli, di sole leggende si muore!

 

 

Il VERO cane da pastore dell’Anatolia, quello realmente aborigeno, può anche arrivare a un’altezza di 75/80 cm al garrese, ma si presenta sempre con una struttura poco pesante, addirittura quasi con l’eleganza di un grande levriero, dal quale non si può escludere abbia ereditato parte della sua genetica originale.

Anche molti turchi che abitano le città, come per chi vive nelle capitali dell’Asia centrale, elogiano le qualità dei cani di taglia sproporzionata. E’ ovvio! Hanno ormai capito molto bene che turisti russi, americani ed europei possono spendere cifre importantissime per un cane di taglia sproporzionata e loro, da abili affaristi, sono sempre disposti a raccontare una nuova favola inventata ad hoc per i cinofili “boccaloni” che solitamente soddisfano gran parte della loro passione stando semplicemente seduti di fronte a un computer.

 

 

E’ triste vedere come un cane di natura così pregiata, assolutamente indispensabile al duro lavoro dei pastori, possa oggi essere diventato famoso solo per tutte le più incredibili leggende che si trovano sul web. La cinofila è ormai così arrivata al capolinea che oggi molti degli appassionati sono anche disposti a credere che un cane possa vincere contro un predatore come il lupo o addirittura contro una tigre o un leopardo!

 

A proposito di questo vi voglio raccontare un episodio che mi è accaduto in Anatolia.

 

Mi trovavo a casa di alcuni pastori che ci avevano appena offerto uno dei tanti té che si è inevitabilmente obbligati a trangugiare durante ogni escursione, mai meno di una ventina al giorno, facendo ben attenzione a non riporre la tazza sul tappeto, viceversa si riparte con un’altra dose.

Mr. Ergun mi stava chiedendo da Londra se ero felice di questo viaggio che aveva organizzato per me e se avevo bisogno di altro. Io, nonostante fossi già al settimo cielo per l’entusiasmo, da ingordo cinofilo che sono, risposi che mi sarebbe piaciuto trovare in qualche villaggio un pastore che mi regalasse o vendesse un dente di lupo anatolico, per aggiungerlo alla mia collezione. Mr. Ergun mi disse che mi avrebbe telefonato più tardi e, dopo meno di mezz’ora, il mio cellulare squillò nuovamente: era lui che mi chiedeva di passargli uno dei suoi collaboratori perché, alcune settimane prima, un cane maschio di 5 anni, aveva ucciso una giovane lupa che si era avvicinata allo stazzo ed era possibile che la carcassa di quell’animale selvatico fosse ancora nei paraggi di un villaggio che si trovava a meno di mezz’ora da dove ci trovavamo. Inutile dire che io mi alzai immediatamente e che le mie due guide capirono subito che volevo partire senza perdere troppo altro tempo.

 

Arrivati sul posto, dopo i soliti saluti e convenevoli con le persone che ci stavano aspettando, ci avviammo alla ricerca della povera lupa che aveva purtroppo incontrato in quel luogo la sua fine. Passarono non più di dieci minuti quando uno dei pastori fece un cenno per avvisarci che aveva trovato la carcassa dell’animale, ormai però completamente mangiata da altri predatori o uccelli rapaci che avevano solo più avanzato il teschio e parte della colonna vertebrale.

 

 

Le ossa della testa erano intatte e la dentatura al completo, il pastore mi guardò con fare interrogativo come per chiedermi quale di quei denti avessi preferito. Non feci in tempo a capire cosa voleva dirmi che mi trovai già la testa intera del lupo fra le mani: l'aveva appena staccata con uno strattone dal resto della carcassa. (Oggi è a casa mia in ricordo di questo fantastico viaggio fatto in Anatolia in aggiunta a quella che mi fu donata sulle montagne del Sud Kazakistan).

 

La gente di questo villaggio era molto orgogliosa di quel cane che aveva saputo uccidere questa giovane lupa, avvicinatasi al gregge per predare qualche agnello. Per loro, le pecore sono l’unica fonte di sussistenza e chiunque voglia sottrargliele diventa il peggiore dei nemici.

 

 

I pastori vollero subito mostrarmelo quel cane, si trattava di un animale molto confidente con qualsiasi essere umano che lo avvicinasse alla catena, ma loro sostenevano che fosse assolutamente micidiale contro qualsiasi altro cane.

 

Vi ho raccontato questo episodio, uno dei tanti che mi accadono ogni volta che visito questi posti dimenticati dal mondo, per farvi capire quanto sia lontana la realtà cinofila dei pastori (l’unica veramente attendibile), dalle tante leggende che oggi si leggono ovunque.

Proprio questi pastori, gli stessi che mi hanno donato la testa del lupo ucciso dal loro cane, così aborigeni, tribali e cruenti all’inverosimile, nati e cresciuti in montagna, fra pecore, capre, lupi e cani autentici da pastore, non si sognerebbero mai di sostenere che un qualsiasi cane possa essere più forte di un lupo, né tanto meno di una tigre o di un leopardo!

Mi hanno sottolineato più volte che, quando un lupo maschio adulto si avvicina al gregge per predare, nessun cane da pastore, per forte coraggioso e aggressivo che sia, oserebbe attaccarlo. Lo guarda, inizia a ringhiare, gli corre incontro abbaiando, cerca di avvisare il pastore in ogni modo, ma non se la sente di attaccarlo da solo: sarebbe la sua fine! Servono almeno due, o meglio tre, cani adulti da pastore maschi, dotati di grande esperienza e coraggio, per allontanare (…non uccidere!) un lupo maschio adulto! Se invece i lupi sono in branco, nessuno ricorda di aver mai sentito dire di cani capaci di scontrarsi con loro e averli sconfitti. Succede invece spesso che i lupi in branco attacchino i cani, causando vere e propri stragi capaci di mettere in difficoltà i pastori per tutta la stagione dell’alpeggio.

 

Bastasse avere dei cani grandi e grossi per sconfiggere i lupi, i pastori dell’Anatolia, della Mongolia, dell’Asia centrale, della Transilvania e di tante altre parti del mondo, ne alleverebbero ormai di giganti!!! Il problema è che un cane leggermente più grande del normale, oltre a dimostrarsi sempre più debole di altri suoi simili di statura normale, non riesce nemmeno a sopravvivere una sola stagione alle fatiche della montagna: laggiù chi è grande e grosso muore di stenti in pochi mesi!

E poi, se i Kangal fossero così micidiali contro gli altri animali, come si racconta su molti siti internet, perché allora furono proprio i turchi i primi pastori a inventare i collari chiodati per proteggere i loro cani dagli attacchi dei lupi? I lupi non hanno protezioni, usano solo il loro istinto e i denti, unica arma naturale, eppure sono molto temuti da tutti!

E credo proprio che questa sia l’unica realtà che vada presa in considerazione dai cinofili che vogliono vivere la loro passione rimanendo con i piedi per terra.

 

 

La mia ricerca è iniziata incontrando alcuni Akbash meravigliosi che si trovavano non troppo lontano da Ankara: in quella regione esiste una provincia dove i “cani bianchi” sono i preferiti da tutta la popolazione, tanto da averne eretto un monumento.

 

 

Animali dalla morfologia superba, sani, ben fatti, proporzionati, pacati ed innocui contro gli esseri umani estranei, quanto fulminei nell’intervenire non appena avvertono un reale pericolo per il gregge che stanno custodendo.

 

Per visitare i pascoli più nascosti ci è stato di grande aiuto l’intervento di un funzionario governativo,

 

 

amico d’infanzia di Mr. Ergun che ci ha messo a disposizione il responsabile di un allevamento di Stato che oltre a mostrarci numerosi ottimi esemplari cresciuti nelle recinzioni,

 

 

ci ha fatto accompagnare da un responsabile presso alcuni pastori che alpeggiavano in montagna.

 

 

Poi è stata la volta dei pascoli del Sivas, la regione madre del Karabash (muso nero) dove ho incontrato alcune greggi nei pressi della piccola cittadina Kangal e ancor di più in altre vallate adiacenti.

 

 

Per gli abitanti di Kangal, il pastore dell’Anatolia rappresenta un vero business, come anche la memoria di tante battaglie avvenute fra i cani dei pastori che da secoli salgono in montagna e si trovano ogni anno vari branchi di lupi che vogliono predare il bestiame.

 

 

Sono ormai numerosi i monumenti eretti nel paese in onore di questo cane straordinario che lavora da sempre al fianco dell’uomo.

 

 

Che belli sono i Kangal da lavoro, quelli di dimensione normale, utilizzati in montagna dai pastori,

 

 

alcuni sono dotati di sguardi così profondi che pare di poter leggere nei loro occhi i tanti anni di storia della razza.

 

 

Chissà se quelle montagne così aride del continente anatolico potessero parlare, quante storie realmente accadute avrebbero da raccontarci.

 

 

Notti insonni trascorse dai pastori che escogitavano ogni sistema per difendersi dai lupi, pecore belanti che si spostavano come onde inquiete lungo i versanti della montagna, alla ricerca di protezione con cani che, abbaiando a più non posso, correvano a perdifiato su e giù per quei pendii, fieri della loro forza e orgogliosi di proteggere i loro animali dal nemico.

 

 

Nell’ultimo giorno del nostro viaggio, ho anche avuto modo di incontrare la terza variante del cane da pastore turco, ovvero il Malakli, forse più che un antico cane da lavoro, una leggenda voluta dalla cinofilia di ultima generazione. Direi un animale più simile al Mastiff che a un cane da pastore.

 

 

Ho sentito dire in Turchia che viene utilizzato molto per i combattimenti ma non essendo questo un argomento di mio interesse, né tanto meno rappresenti per me un cane di pregiata morfologia, non ho raccolto molte informazioni su questa tipologia.

 

Questo viaggio in Anatolia è stata una bellissima esperienza, anche se un po’ faticosa sotto l’aspetto fisico: le due guide affidateci da Mr. Ergun non conoscevano sosta, bevevano litri di tè e caffè turco e guidavano giorno e notte, fumando in auto una sigaretta dopo l’altra.

 

 

Con il mio amico Gregorio, ho percorso più di 3000 Km a bordo di un fuoristrada, su e giù per le montagne, dormendo per ben due notti intere sui sedili dell’automobile, per poi ricominciare all’alba del giorno successivo, come nulla fosse (per modo di dire!), il mio lavoro di ricerca.

 

Io non nutro grande interesse per questa razza solo perché ne allevo e seleziono già un’altra, parente molto stretta, forse la stessa da cui il Kangal prese origine secoli fa, ma posso confermare senza remore che si tratta di un ottimo cane da pastore, forse non troppo indicato per la guardia della proprietà, ma con una ricca e importante storia alle spalle.

 

Il pastore dell’Anatolia è un cane che merita grande rispetto dai cinofili di tutto il mondo, è un animale antico, molto equilibrato quanto tenace e fugale, capace di adattarsi alle condizioni di vita più impervie. Se allevato nelle sue proporzioni naturali, è anche molto bello da vedere, come assolutamente affidabile e indicato a tutta la famiglia.

 

 

Vi prego di non rovinare la sua tradizione facendolo diventare quel fenomeno da baraccone che oggi viene pubblicizzato ovunque su internet, attribuendogli inverosimili leggende e dimensioni esagerate che non gli sono mai appartenute!

 

Nelle sue terre d’origine, lui è ancora oggi un cane di grande utilità che svolge ogni giorno il suo prezioso lavoro di guardiano delle greggi con estrema efficienza, oltre ad appartenere  a uno dei più interessanti capitoli della nobile storia internazionale dei cani da pastore.

 

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